di Francesco Pungitore
“Viviamo l'epoca più buia della nostra storia”. E' questo il refrain che ascoltiamo continuamente da un anno a
questa parte. I catastrofisti che, fino ad ora, hanno messo insieme virus, terremoti e alluvioni, da oggi possono dare ulteriore forza alle loro opinioni. Le immagini delle clamorose proteste
trumpiane a Washington stanno alimentando l'idea di un nuovo e irreversibile disastro mondiale, pronto ad affacciarsi all'orizzonte: la fine dell'Impero americano, con annesse conseguenze
nefaste per tutti gli equilibri geopolitici globali. A breve, l'Apocalisse insomma.
Ma ci troviamo davvero sull'orlo dell'abisso?
E' così unica la congiuntura temporale che stiamo affrontando?
A chi descrive l'ultimo anno equiparandolo, addirittura, alla Seconda guerra mondiale se non peggio, consiglierei di leggere Viktor Frankl e i suoi diari dai campi di concentramento. Lì le tenebre del caos avevano sicuramente spinto l'umanità ben oltre i limiti del baratro. Eppure, anche in quel contesto tragico, bestiale, nullificante, donne e uomini come Frankl riuscirono, con straordinario coraggio, a trovare la forza necessaria per continuare a dare, comunque, un senso alla propria esistenza. Continuare a vivere proiettando e progettando se stessi, con fiducia e speranza, nel futuro. Fu questa la loro via d'uscita dal dolore, dalla disperazione, in un contesto di torture e barbarie che stentiamo ad immaginare.
“Chi ha un perché per vivere sopporta quasi ogni come” scriveva lo psicologo viennese, confinato in un lager, citando il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche.
Ed è proprio in quella frase, probabilmente, che è ancora racchiusa la chiave da recuperare nell'interpretazione della nostra attualità più recente. Il futuro non è mai stato così incerto? E chi lo dice? L'umanità ha sempre dovuto sostenere una sfida impari contro la casualità che governa il mondo. Guerre, devastazioni, epidemie hanno decimato interi popoli per secoli, per millenni, rivelandone la fragilità radicale di fronte all'enigma irrisolvibile della morte e della sofferenza. Ma il coraggio di guardare, comunque, avanti non è mai mancato alle generazioni che hanno poi costruito le basi del nostro presente. Ai giovani di oggi, bisognerebbe ricordarlo. Bisognerebbe parlare loro di speranza e non di paura. Consapevoli delle difficoltà del momento, ma aperti all'azione. Invitandoli, non ultimo, a prendere in mano il loro destino, con fiducia e coraggio. Nichilismo attivo, direbbe Nietzsche. E, probabilmente, anche Frankl sarebbe d'accordo. [7 gennaio 2021]