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“The Social Dilemma” tra new media e manipolazione: quale via d'uscita?

Riflessione sul docufilm di Netflix, sui problemi che solleva e sulle possibili soluzioni, a cominciare dalla scuola

di Francesco Pungitore

 

Ci serve l'ideale di un nuovo Umanesimo? Serve, alla nostra società, un ritorno alla concretezza originaria degli individui umani? Individui da considerare nella loro complessità umana, esseri unici, non massificati, liberamente pensanti, diversi nella dissimile capacità di esprimere se stessi nel mondo. Serve all'economia, alla politica, alla scienza? I cambiamenti epocali che scuotono il mondo contemporaneo sembrano suggerirne una necessità impellente e ineludibile. Una urgenza che trapela con forza nel film docudrama recentemente prodotto da Netflix e intitolato “The Social Dilemma”.

Come suggerisce il titolo, si tratta di una disamina dura e profonda che mette a nudo l'impatto dei social media sulle nostre vite (soprattutto su quelle delle generazioni più giovani). A svelarne gli effetti devastanti, peraltro, non è una setta di fanatici luddisti. Il documentario, inframmezzato da coinvolgenti parti recitate, lascia invece parlare manager di primo piano, Ceo, programmatori, ingegneri e specialisti che hanno costruito tutta quella rete di applicazioni nella quale siamo rimasti intrappolati. Intrappolati, sì. Ma come e perché? Non certo per caso. Dietro ogni tweet, post, icona, finestra, effetto ottico che ci viene quotidianamente proposto dagli algoritmi (ormai evoluti allo stadio di intelligenze artificiali) che governano il sistema c'è uno scopo primario: catturarci e tenerci in quell'ambiente virtuale il più a lungo possibile. Fin qui (forse) nulla di eccessivamente pericoloso. Il problema denunciato dagli autori di “The Social Dilemma” è, però, ben più grave.

Le tecniche usate per conquistare la nostra attenzione, infatti, ormai sconfinano nella vera e propria manipolazione psicologica. E con un ulteriore livello d'allarme. Quell'arte persuasiva viene usata con effetti paragonabili a una droga, per creare dipendenza, azzerare il pensiero libero e autonomo, condizionare e orientare l'orizzonte delle nostre scelte future. Ognuno di noi diventa, in questo sistema, un automa-merce da monetizzare, isolato nella bolla illusoria di una falsa e fragile felicità virtuale. A prescindere, quindi, da qualsiasi contenuto di verità. In breve, l'enorme giocattolo che gira attorno ai giganti della Silicon Valley non ha altro scopo che “disumanizzarci” ancor più di quel che siamo, piegando le nostre facoltà umane più elevate (il discernimento critico, l'analisi) alle leggi del mercato, della produzione e del consumo.

Non più individui umani ma atomi di un ingranaggio mortale che genera “mostri” come, ad esempio, la scomparsa dei normali momenti di dialogo, confronto e mediazione tra opinioni diverse che caratterizzano la democrazia, con una decisa polarizzazione ideologica dello scontro (un muro contro muro) tra chi la pensa in un modo e chi in un altro.

Nel docu-film c'è, inoltre, un significativo passaggio dedicato alla generazione “Z”, quella dei nati con il tablet in mano. Quelli che non ricordano il mondo com'era prima di Facebook, Instagram, Tik Tok ecc. I numeri proposti (relativi agli Usa, ma ben adattabili a qualunque, moderna nazione occidentale) lasciano sgomenti perché evidenziano la crescita esponenziale di un disagio esistenziale che, spesso, sfocia in malattie mentali, depressione e suicidi. E' questa la nuova umanità che vogliamo? La domanda, di per sé retorica, non può restare così in sospeso senza immaginare una qualsivoglia forma di soluzione. E una possibile via d'uscita, in positivo, capace di valorizzare il “bene” delle nuove tecnologie, non può che richiamare una parola su tutte: consapevolezza. Essere pienamente consapevoli dello strumento che l'evoluzione dei new media ci mette a disposizione e dell'uso che se ne può fare è proprio ciò che ci manca. Manca, soprattutto, agli adolescenti, nella delicata fascia d'età compresa tra gli 11 e i 19 anni, che smanettano sui loro smartphone per un tempo quotidiano indefinito. Usano il mezzo senza saperne pressoché nulla. In larga misura inconsapevoli. Nella scuola che cambia e fa sua la sfida del digitale, questa sì dovrebbe essere una priorità, non priva di intrecci con le materie umanistiche più tradizionali come la filosofia e la storia. [10 ottobre 2020] 

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