rivista di opinione, ricerca e studi filosofici
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Il sé narrante: una questione di esistenza

Una via di autoriconoscimento e redenzione terapeutica

di Francesco Pungitore*

 

“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.

(Gabriel García Márquez, Vivere per raccontarla)

 

Gabriel García Márquez, con la sua penetrante introspezione, ci ricorda che la vita si misura non attraverso i momenti vissuti, ma attraverso il ricordo di questi momenti e il modo in cui li riportiamo a nuova luce nella narrazione. Questa premessa ci apre una vasta panoramica sull'esistenza umana, suggerendo che l'atto del raccontare non è semplicemente un processo di catalogazione di eventi passati, ma un'esperienza viva e trasformativa. Ogni individuo, nel narrare la propria storia, non si limita a essere un cronista, ma diviene un artefice attivo del proprio mondo esistenziale, ricreando continuamente il senso di sé e della realtà circostante attraverso la parola.

Rinascita attraverso la parola

La narrazione, dunque, trascende la sua funzione letteraria o quella puramente consolatoria. Non è un semplice specchio in cui riflettere passivamente la nostra immagine o un lenitivo per le ferite dell'esistenza. Piuttosto, il racconto di sé assume un ruolo attivo nella costituzione e nel rafforzamento dell'identità individuale. La storia che ciascuno di noi scrive e racconta è un incessante lavoro di tessitura e rammendo, dove le parole creano, distruggono e ricreano significati, in una dinamica circolare che unisce indissolubilmente esperienza e linguaggio.

 

La terapia del narrare

Sorprendentemente, l'arte della narrazione rivela una potenza curativa, quasi terapeutica. In un'epoca segnata da una crisi esistenziale collettiva, dove il senso sembra dissolversi nella frenesia e nel caos, raccontare la propria storia diventa un modo per riempire il vuoto, per dare forma, per trovare ordine. Il racconto, quindi, non è un mero strumento di autocontemplazione; è piuttosto un viaggio verso l'autoriconoscimento, un ponte gettato sulle acque tumultuose dell'alienazione.

 

Salvati dalla storia

In conclusione, l'affermazione di Márquez ci invita a considerare la narrazione come un elemento fondamentale dell'esistenza umana. Raccontare la storia di sé nel mondo è un atto tanto naturale quanto respirare: è un modo per l'individuo di affermare e riaffermare la propria identità, di dare senso all'apparentemente insensato e di trovare conforto nella continua riaffermazione della propria vita. In questo processo, la narrazione diviene un'ancora, una bussola e una cura; è il mezzo attraverso il quale salviamo noi stessi dal vuoto assordante dell'esistenza, tessendo significati, scoprendo verità nascoste e, infine, ritrovando noi stessi nel labirinto inestricabile dell'esistenza.

 

La narrazione frammentata: il sé nei social media

In un'era dominata dalla digitalizzazione, questo processo di auto-narrazione si manifesta ubiquitariamente attraverso i social media. La nostra presenza online è costellata di immagini, istantanee di vita catturate e condivise in un flusso incessante. In un certo senso, è un'estensione del racconto di sé, un tentativo di imprimere la propria esistenza nella memoria collettiva digitale. Tuttavia, questa forma di narrazione risulta “rotta” e incompleta. Le immagini, pur potenti, sono silenziose: prive della narrazione accompagnatoria, mancano di quella profondità e complessità che emergono solo dall'esercizio narrativo.

La narrazione richiede tempo, riflessione, un intreccio di pensieri ed emozioni che non può essere catturato in una singola immagine o in una serie di immagini. Senza la parola, ciò che rimane è una superficie, una rappresentazione esteriore che può suggerire ma non sostituire la ricchezza della storia interiore. Quello che manca è la reinterpretazione ermeneutica che noi diamo alla nostra stessa presenza nel mondo, il processo attraverso il quale esaminiamo, analizziamo e infine comprendiamo chi siamo in relazione al mondo che ci circonda.

Il racconto di sé sui social media, quindi, seppur valido come espressione di identità, richiede un'ulteriore dimensione - quella della narrazione verbale e della riflessione - per essere veramente completo. È attraverso la parola che riveliamo, esploriamo e, infine, ci comprendiamo pienamente, trascendendo l'immagine per abbracciare l'essenza più profonda del nostro essere.

 

*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche di Comunicazione con Perfezionamento post-laurea in Tecnologie per l’Insegnamento e Master in Comunicazione Digitale

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