rivista di opinione, ricerca e studi filosofici
rivista di opinione, ricerca e studi filosofici

Il potere e la fragilità umana 

La morte di Silvio Berlusconi, come quella della Regina Elisabetta di pochi mesi fa, ci porta a riflettere filosoficamente sull’esistenza e il suo valore

di Francesco Pungitore*

 

La morte, nella sua crudezza e ineluttabilità, ha un modo peculiare di farci guardare, con occhi diversi, la natura umana. Parliamo oggi della morte di Silvio Berlusconi che, come quella della Regina Elisabetta, qualche mese fa, ci fa riflettere su due temi che risuonano con particolare enfasi nell'esistenza umana: il potere e la nostra innegabile fragilità di fronte a quel limite ineluttabile al quale siamo tutti destinati.

Filosofi come Cicerone e Seneca hanno indagato ampiamente la condizione umana, la “humana condicio”. L'essere umano, con la sua capacità di interrogare tutto e di scoprire la multiformità in sé stesso, è l'essere problematico per eccellenza. Possiamo assumere sembianze diverse, mettendo e togliendo maschere in base alle circostanze. Eppure, siamo eternamente, consciamente e inconsciamente consapevoli della nostra debolezza, della nostra fragilità. Nel vasto spazio cosmico, nei secoli passati e in quelli che verranno, sappiamo di essere poco più di un punto impercettibile, un breve sospiro che sprofonda nell'abisso.

La finitezza dell'essere umano, la nostra radicale contingenza sono concetti fondamentali esplorati con illuminante profondità da Seneca.

Louis-Vincent Thomas, nel suo libro “Morte e potere”, affronta questi temi, esplorando la morte come un oggetto di studio antropologico. La morte è un tema tanto esasperante quanto sfuggente. Nessuna quantità di conoscenza scientifica può dominare questo Nulla, questo Quasi-Nulla.

Tuttavia, ogni società anela all'immortalità, e ciò che chiamiamo cultura non è altro che un insieme di credenze e riti progettati per combattere il potere di dissoluzione della morte. Eppure, la morte, e la consapevolezza di essa, seminano la paura, mobilitando energie per respingerla, oscurarla, sopprimerla.

Bruno Montanari, nel suo libro “L'uomo, la vita, la morte”, discute la fragilità del potere. Il potere, afferma, è fragile perché dipende dagli “altri”, quelli che deve dominare. È una dimensione esclusivamente umana, una che ha la sua radice nel non accettare la nostra finitudine. L'io aspira all'assolutezza, ma questa tensione incontra inevitabilmente l'”alterità”, la consapevolezza dell'altro. Questa incontro rivela la fragilità intrinseca del potere.

Come sottolineato da Louis-Vincent Thomas nel suo studio antropologico sulla morte, la questione è complicata dal fatto che, nonostante tutti gli sforzi compiuti per raggruppare le conoscenze sulla morte, non sembra esserci un modo efficace per convivere con essa. L'oggetto-morte rimane sfuggente e difficile da circoscrivere, tanto che più approfondiamo la conoscenza del processo biologico della morte, più ci riveliamo incapaci di precisare quando e come essa sopraggiunge. È proprio su questo nulla, su questo quasi-nulla, dicevamo, che si concentrano tutte le paure.

Ogni società vorrebbe essere immortale e quello che chiamiamo cultura non è altro che un insieme organizzato di credenze e riti volti a lottare contro il potere di dissoluzione della morte. Questo si evidenzia nelle società arcaiche, in cui ogni rapporto sociale viene strettamente intrecciato in un vasto dramma liturgico di metafore e proiezioni simboliche, recitato con lo scopo di perpetuare il gruppo. Ma nelle società moderne, i miti e i riti di ieri si sgretolano di fronte al controllo tecnico sulla morte, alimentando la speranza di raggiungere l'immortalità.

E qui si inserisce un ulteriore paradosso: la fragilità del potere, come discusso da Bruno Montanari. Il potere è fragile e oneroso, dipende dagli “altri”, che deve dominare, e richiede un prezzo: la minaccia o la lusinga, la paura o il consenso. È una dimensione esclusivamente umana, che ha la sua cifra nel non accettare la propria finitudine. Eppure, ogni tentativo di accumulare potere incontra inevitabilmente l'”alterità” e da essa dipende. Quindi, non importa quanto potere l'uomo accumuli, incontrerà sempre il suo limite: la morte.

Il filo comune tra la morte di Berlusconi e quella della regina Elisabetta è che entrambi, nonostante le loro posizioni di potere, non hanno potuto sfuggire a questa ineluttabile realtà. La morte è un fatto inconfutabile dell'esistenza umana, un punto fermo che ci ricorda la nostra fragilità e mette in prospettiva anche il “peso” del nostro “potere” conquistato in vita. Come Seneca ha saggiamente osservato, l'uomo è un vaso che alla più piccola scossa va in frantumi e non c'è potere o posizione acquisita che possa proteggerci da questo.

In conclusione, dunque, la morte di questi due personaggi ci offre l'opportunità di riflettere sulla condizione umana e sulle sue incognite irrisolte. L'esercizio del potere e la consapevolezza della nostra fragilità, l'ambizione di dominare e l'ineluttabile realtà della nostra mortalità, tutte queste diverse maschere dell'umanità, come Seneca ci insegna, non possono essere ignorate o evitate. Sono piuttosto aspetti della nostra esistenza che dobbiamo affrontare e con i quali dobbiamo imparare a convivere. Questo non significa che dobbiamo accettare passivamente la nostra condizione transeunte, precaria e cadùca o rinunciare a esercitare il potere che possiamo avere. Significa, piuttosto, che dobbiamo cercare un migliore equilibrio per vivere la vita senza esserne sopraffatti.

Questa è una sfida che continua oggi. Nonostante i nostri sforzi per controllare e dominare il mondo che ci circonda, siamo ancora soggetti alla morte, che rimane una parte inevitabile e inspiegabile della nostra esistenza.

“L’uomo non è che una canna, la più debole (fragile) della natura; ma è una canna pensante” affermava il filosofo francese Blaise Pascal. Riflettere sulla morte di personaggi pubblici come Berlusconi e la regina Elisabetta può aiutarci a confrontarci con questa realtà e a riflettere su come vogliamo vivere la nostra vita. La morte non è solo una condanna all’oblio eterno del nulla-senza-senso, ma è anche un promemoria del valore della vita, con la sua brevità e la sua intrinseca bellezza. È ciò che ci spinge a considerare cosa significhi veramente vivere e cosa sia veramente importante per noi. In questo senso, può essere una fonte di saggezza e di illuminazione, così come lo era per Seneca.

 

*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche della Comunicazione con Perfezionamento post-laurea in Tecnologie per l’Insegnamento e Master in Comunicazione Digitale

 

Stampa | Mappa del sito
© 2015 - Essere & Pensiero - Testata giornalistica online ai sensi dell'art. 3-bis del d.l. 63/2012 sull'editoria convertito in legge n. 103/2012 - Direttore Responsabile: Francesco Pungitore