di Francesco Pungitore
"Anche Socrate avrebbe amato i social" è il titolo del nuovo libro al quale sto lavorando.
L'ipotesi da cui parte è che se Socrate avesse avuto modo di professare la sua filosofia nell'anno 2021, probabilmente avrebbe usato, e anche tanto, i social media. Forse non tutti i canali digitali.
Ma, sicuramente, Instagram e YouTube sarebbero state delle ottime frecce per l'arco della sua maieutica.
In ogni caso, lo immaginiamo navigare con mano esperta sulle reti di comunicazione oggi più vicine alla sensibilità culturale della cosiddetta “Generazione Z”.
Perché? Beh, indubbiamente i giovani erano il cruccio principale dell'ateniese già prima che nascesse Cristo, tanto da sacrificargli la sua stessa vita. Ebbene, lo sarebbero stati anche in pieno XXI secolo. E il suo pensiero sarebbe stato, oggi come allora, un continuo domandare, una incessante ricerca di senso, un invito ad ascoltare quei sussulti dell'anima, quella voce interiore che, in maniera fin troppo superficiale, noi più in là con gli anni consideriamo addirittura muta laddove si ritrovano ragazze e ragazzi nati al tempo di Internet. Eppure, basta stare un po' con loro, in una classe qualunque di una qualsiasi scuola superiore italiana, per capire come tanti adolescenti post Millennials nascondano straordinarie sensibilità se non, addirittura, puri cuori da filosofi. E che, molto spesso, siamo proprio noi “anziani”, con il nostro caracollare annoiato, i nostri occhi disillusi, o stanchi, o traditi, a ridimensionarne sul nascere le qualità e le aspirazioni.
Insomma, il nostro Socrate del 2021, provocatorio e fuori dagli schemi, più che le lezioni al chiuso di una stanza avrebbe certamente prediletto post, video e chissà cos'altro pur di incontrare loro, i giovani, nei luoghi (anche e soprattutto virtuali) in cui oggi amano trascorrere gran parte del tempo. “Amate ciò che amano i giovani, affinché essi amino ciò che amate voi” è una frase bella e importante di San Giovanni Bosco che sarebbe sicuramente piaciuta anche a Socrate. E magari ne avrebbe tratto ispirazione per rompere il suo tabù per la scrittura e mettere insieme un libro come questo, sotto forma di dialogo, ritessendo lampi di conversazioni con i suoi studenti, opinioni, punti di vista, per parlare di filosofia con leggerezza, provando a non essere banale. Perché in questi nostri ragazzi di oggi avrebbe rivisto, ancora, la stessa scintilla di speranza dei giovani ateniesi del 400 a. C.
Perché la filosofia rimane tuttora viva nei nostri cuori e in quelli degli adolescenti. E non è affatto un'isola infelice, abitata da vecchi barbuti impegnati a ricordare a memoria le categorie di Aristotele, stancamente incarnata da qualche docente che, superati gli “-anta”, ha abbandonato velleità e ambizioni pedagogiche. La filosofia si pratica nella vita, da sempre, perché è delle cose più importanti della vita che parla: felicità, coraggio, esistenza, anima, ma anche dolore, sofferenza, morte.
Il nostro Socrate avrebbe, quindi, sfruttato ogni mezzo e tutte le occasioni per aprire il flusso creativo e sprigionare l'energia sopita (o male indirizzata) degli studenti di oggi. Attirandoli a sé con carisma, passione, entusiasmo e, perché no, amore. Quel sentimento profondo di cui parlava Don Bosco nel dire che “l'educazione è cosa del cuore”.
Qui si dovrebbe aprire la parentesi, ahimè, dolente delle nostre scuole e di quel compito formativo troppo spesso deluso. Diciamocelo francamente: Socrate ci sarebbe stato davvero male in un Liceo dei nostri tempi, tra rigidità burocratiche e la malsana idea che la classe non sia un posto per pensare, o ragionare, e confrontarsi sull'esistenza umana. Tante aule sembrano fatte apposta per generare depressione: laboratori pseudo-scientifici in cui inoculare nozioni a pioggia, ovvero - secondo la più classica delle formule ministeriali - “fare imparare cose utili”. Utili a che se poi vivi male e sei infelice?