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Una nuova guerra riapre vecchie ferite 

Riesplode la violenza nei territori israelo-palestinesi, mettendo a dura prova la stabilità dell'intera regione mediorientale

di Francesco Pungitore*

 

La giornata del 7 ottobre 2023 si è drammaticamente tinta di rosso nei territori israelo-palestinesi, con una nuova, dolorosa escalation di violenza. La situazione, già tesa e complessa, ha subito un ulteriore deterioramento, riportando alla luce le profonde cicatrici di un conflitto che, nonostante gli sforzi internazionali, non ha mai trovato una soluzione duratura e condivisa. Un massiccio attacco missilistico è stato lanciato da Gaza verso Israele, subito seguito da incursioni armate palestinesi nelle zone di confine. Sui social media, i video dei miliziani di Hamas che penetrano nei kibbutz, sparando ai passanti e trascinando le persone fuori dalle loro case. Secondo i media locali, che citano fonti mediche, il bilancio delle vittime in Israele, in poco più di 24 ore, avrebbe già superato i 350 morti. I dispersi sarebbero oltre 750 dall'inizio dell'offensiva di Hamas. Molti di loro sarebbero civili, sequestrati e portati all’interno della Striscia di Gaza. I bombardamenti di risposta israeliani avrebbero causato 300 morti e almeno 2.000 feriti.

Le radici del conflitto

L'analisi della questione israelo-palestinese non può prescindere da un'attenta osservazione del suo contesto, che affonda le radici nel lontano passato. La creazione dello Stato di Israele nel 1948, sancita da una risoluzione delle Nazioni Unite, ha dato il via a decenni di tensioni con la popolazione palestinese e gli stati arabi limitrofi. Per la popolazione ebraica, la fondazione di Israele rappresentava un faro di speranza e un rifugio dopo la tragedia incommensurabile dell'Olocausto; per i palestinesi, al contrario, venne percepita come un'occupazione dei propri territori ancestrali, dando origine a un conflitto che perdura da generazioni.

Le guerre che hanno sempre segnato la storia di Israele, in particolare quelle del 1948, del 1956, del 1967 e del 1973, hanno progressivamente modellato i confini e le dinamiche politiche della regione. La questione dei territori e dei rifugiati palestinesi, insieme al diritto all'autodeterminazione, sono diventati i nodi centrali attorno ai quali si sono sviluppati i successivi scontri e negoziati.

 

La pace fragile

Gli accordi di Oslo, firmati negli anni '90, hanno rappresentato un momento storico e un barlume di speranza in un panorama altrimenti cupo, delineando per la prima volta la possibilità di una soluzione a due stati. Questi accordi, firmati precisamente nel 1993 (Oslo I) e nel 1995 (Oslo II), non solo hanno delineato un percorso verso la potenziale risoluzione del conflitto, ma hanno anche portato a cambiamenti tangibili sul terreno.

Uno degli aspetti più rivoluzionari degli accordi di Oslo è stato il riconoscimento reciproco tra il governo israeliano e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Questo passo ha rappresentato una svolta, poiché entrambe le parti hanno accettato l'esistenza legittima dell'altra, aprendo la porta a negoziati diretti e stabilendo un precedente per il dialogo futuro.

Inoltre, gli accordi hanno portato a una maggiore autonomia per alcune aree palestinesi. I territori sono stati divisi in aree A, B e C, ognuna delle quali aveva diversi livelli di controllo palestinese e israeliano. L'Area A, ad esempio, era sotto il completo controllo civile e di sicurezza dell'Autorità Palestinese, mentre l'Area C era sotto il completo controllo israeliano. Questa divisione, sebbene intesa come temporanea e un passo verso il trasferimento completo del potere all'Autorità Palestinese, ha rappresentato un cambiamento significativo nella gestione dei territori occupati.

Tuttavia, la strada verso la pace delineata dagli accordi di Oslo si è rivelata irta di ostacoli. Nonostante la creazione di un quadro per il futuro stato palestinese e il miglioramento delle relazioni a livello diplomatico, le tensioni persistenti hanno impedito la piena realizzazione degli obiettivi degli accordi. Sia Israele che i palestinesi hanno affrontato sfide significative, tra cui la violenza interna, le pressioni politiche esterne e le difficoltà nel garantire la sicurezza e la cooperazione reciproca.

La fragilità delle trattative di pace e la persistenza di elementi di instabilità politica e sociale, come evidenziato dalla recente escalation di violenza, mettono in evidenza come la questione israelo-palestinese sia ancora lontana da una soluzione definitiva. Il cammino verso una risoluzione pacifica appare, ad oggi, ancora complesso e sfuggente.

 

Lo stallo della diplomazia internazionale

La comunità internazionale, pur essendo stata spesso protagonista di mediazioni e iniziative di pace, si trova di fronte a una sfida che sembra superare le capacità e gli strumenti diplomatici tradizionali. La soluzione di questo conflitto, infatti, ormai richiede uno sforzo immane per promuovere quella auspicabile, comune volontà politica che vada oltre le divisioni e le rivalità storiche. In questo scenario, la storia del conflitto israelo-palestinese continua, purtroppo, a essere scritta tragicamente con il sangue, tra speranze di pace sempre più flebili e la realtà di una violenza che sembra non conoscere fine.

 

Conclusioni

Nonostante l'apparente vicolo cieco in cui sembra trovarsi la questione israelo-palestinese, l'auspicio è che il futuro possa portare con sé nuove opportunità di pace. Quella pace che non può e non deve essere relegata a un vuoto esercizio retorico bensì deve attivamente formare e informare i rapporti tra i popoli, fungendo da pilastro su cui costruire relazioni autentiche e durature. La storia ci insegna che, anche nei momenti più bui, la speranza e la diplomazia possono aprire vie inaspettate. Gli scenari futuri potrebbero vedere un ruolo sempre più attivo e costruttivo da parte della comunità internazionale, con nazioni come gli Stati Uniti, l'Unione Europea, la Russia e la Cina, che potrebbero unire le forze con gli attori regionali, come l'Egitto, la Giordania e l'Arabia Saudita, per facilitare un dialogo costruttivo tra le parti in conflitto. La creazione di un tavolo di negoziati che includa non solo rappresentanti politici, ma anche esponenti della società civile, potrebbe rappresentare un passo fondamentale verso la comprensione e la risoluzione delle radici profonde del conflitto. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, la pace in Medio Oriente non è solo un desiderio delle popolazioni direttamente coinvolte, ma un imperativo che risuona in ogni angolo del globo. La strada è ardua, ma la possibilità di costruire un futuro in cui israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco, rimane un obiettivo tanto nobile quanto necessario, per il quale vale la pena lottare incessantemente.

 

*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche di Comunicazione con Perfezionamento post-laurea in Tecnologie per l’Insegnamento e Master in Comunicazione Digitale

 

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