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Il gatto nel multiverso: il paradosso di Schrödinger

Un viaggio tra fisica quantistica e filosofia

di Francesco Pungitore*

 

Erwin Schrödinger è famoso non solo per la sua brillante carriera (premio Nobel nel 1933) ma anche per un gatto molto particolare. Schrödinger fu una delle menti più luminose della fisica del XX secolo, interrogandosi su questioni capaci di fare arrovellare filosofi e scienziati per decenni. E quale miglior modo per spiegare la meccanica quantistica se non con un gatto?

Una scatola piena di sorprese

Il paradosso del gatto di Schrödinger è semplice quanto affascinante: un gatto, una scatola, un veleno e un decadimento radioattivo. Il gatto è chiuso nella scatola con un meccanismo che, se un atomo decade, rilascia il veleno. Secondo le leggi della meccanica quantistica, finché non guardiamo dentro la scatola, l'atomo è sia decaduto sia no; quindi, il gatto è contemporaneamente vivo e morto. Questo esperimento mentale era finalizzato a mostrare l'assurdità di applicare le regole della meccanica quantistica al mondo macroscopico, un mondo dove le leggi classiche di Newton regnano sovrane. Invece, la fisica quantistica “funziona” e si rivela particolarmente efficace nel campo dei fenomeni atomici e subatomici. In questo dominio, particelle come elettroni, fotoni e quark si comportano in modi che sfidano l'intuizione e la fisica classica. Aspetti come la sovrapposizione quantistica, l'entanglement e l'indeterminazione di Heisenberg sono concetti chiave che governano il comportamento delle particelle a questa scala. Qui, il comportamento delle particelle è influenzato non solo dalla loro posizione e velocità, ma anche da probabilità e onde, mostrando un mondo dove le certezze concrete lasciano il posto a un panorama di “infinite possibilità”.

 

Ma insomma, il gatto è vivo o è morto?

La domanda che tutti si pongono quando si parla del gatto di Schrödinger è: “Ma è vivo o è morto?”. La risposta, in termini quantistici, è un sibillino “sì e no”. Scienziati e filosofi hanno cercato di sbrogliare questo enigma. Werner Heisenberg, con il suo principio di indeterminazione, suggerisce che non possiamo conoscere contemporaneamente posizione e velocità di una particella, figuriamoci lo stato di un gatto! Niels Bohr, con la sua interpretazione di Copenaghen, afferma che finché non si osserva, il gatto è in uno stato di sovrapposizione quantistica, sia vivo che morto. Altri, come Hugh Everett con la teoria dei molti mondi, propongono che ad ogni possibile esito corrisponda un universo diverso: in uno il gatto è vivo, nell'altro è morto. I filosofi, dal canto loro, si interrogano sull'ontologia di questo gatto quantistico, domandandosi se il suo stato dipenda dalla nostra percezione o esista indipendentemente da essa. Concludendo con un pizzico di ironia, possiamo dire che se Schrödinger avesse avuto un cane, probabilmente avremmo evitato tutta questa confusione!

 

 

Dalle teorie ai multiversi: l'eredità di un gatto filosofo

Il paradosso ha ispirato molteplici interpretazioni e teorie. Da una parte, ha posto le basi per la teoria dei molti mondi, i multiversi dove ogni possibile esito esiste contemporaneamente all’altro. D'altra parte, ha stimolato dibattiti filosofici sull'esistenza e la realtà. È stato un trampolino di lancio per discutere di concetti come determinismo, realismo, antirealismo, aprendo riflessioni sulla natura stessa della realtà. In questo contesto, è interessante notare come per qualcuno i multiversi quantistici richiamino gli “infiniti mondi” immaginati da Giordano Bruno. Questa visione rinascimentale, molto più un'intuizione filosofica che una teoria scientifica, suggeriva un universo infinitamente vasto e variato, pieno di mondi diversi. Sebbene il contesto e le basi scientifiche di Bruno fossero molto diversi da quelli della fisica quantistica moderna, la sua audace visione di un universo senza confini e pieno di possibilità risuona sorprendentemente con le idee contemporanee dei molti mondi e dei multiversi. In un certo senso, Bruno può essere visto come un “veggente” filosofico, la cui immaginazione ha sfiorato concetti che solo secoli dopo sarebbero stati formalizzati dalla scienza.

 

Riflessioni esistenziali

Concludendo, il paradosso di Schrödinger ci insegna che la realtà può essere molto più complessa e sfuggente di quanto appaia. La fisica quantistica, con il suo gatto immaginario, ci invita a interrogarci sulla natura dell'esistenza e della realtà. In fondo, come disse un altro grande scienziato, Albert Einstein: “La realtà è semplicemente un'illusione, anche se molto persistente”. E se lo dice un gatto, chi siamo noi per dubitarne?

 

*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche di Comunicazione con Perfezionamento post-laurea e Master in Comunicazione Digitale. Direttore Tecnico dell’Osservatorio Nazionale Minori e Intelligenza Artificiale

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