di Francesco Pungitore
Presente e futuro. Due forme verbali che dividono l'Italia. Quasi due lingue diverse, inconciliabili. Ce ne accorgiamo sempre di più, quotidianamente, ascoltando famiglie, imprenditori e politici. Il presente esprime il peso dell'immediatezza ineludibile, pressante. E' il tempo che descrive lo stato d'animo di una maggioranza enorme di cittadini. “Pago la luce e il gas” è la frase che indica l'inesorabile contemporaneità, l'adesso. E ciò che accomuna milioni di persone in questi mesi. Mani al portafoglio è oggi, non domani, che “devono” versare l'insostenibile obolo richiesto.
Poi c'è la minoranza di chi, invece, colloca le azioni più importanti, le decisioni, le scelte, in quel limbo di incertezza che è l'avvenire: “Ci staccheremo dal gas russo”. E' esattamente il modo in cui la politica nazionale immagina di risolvere (o meglio... “risolverà”) un problema urgente del presente, spostandolo nel futuro. Tra quanto tempo? Non si sa. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha coraggiosamente tentato una perigliosa terza via, sposando la formula verbale difficilissima della perifrasi progressiva: “Stiamo lavorando”. Più precisamente: “Stiamo lavorando per esseri liberi dal gas della Russia in 24-30 mesi”. “Stiamo lavorando” è un po' come dire “abbiamo, comunque, iniziato a fare qualcosa”. Certo, l'azione durerà ancora nel tempo. Addirittura due o tre anni. O magari oltre, in maniera indefinita. Intanto, “l'altra Italia” continuerà a vivere il “suo” presente senza perifrasi, fatto di conti non rinviabili, da saldare già oggi, non domani.