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Distopia della realtà virtuale: la caverna di Platone nel XXI secolo

L’esigenza di un patto regolativo globale: una cooperazione internazionale tra Stati per creare un metaverso digitale più equilibrato e sostenibile che protegga i diritti e il benessere degli utenti in tutto il mondo

di Francesco Pungitore*

 

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un crescente interesse per la realtà virtuale e l'espansione di mondi come il metaverso, artificiosamente creati per l’utilizzo di visori e tute ipertecnologiche. Piattaforme che promettono di offrire nuove opportunità di gioco, intrattenimento e persino di lavoro. Il parallelismo con la “caverna” di Platone ci offre una lente attraverso la quale esaminare gli effetti potenzialmente dannosi dei mondi virtuali sulla nostra società e sulle nostre vite.

Il grande filosofo ateniese, nel suo dialogo “La Repubblica”, presenta l'allegoria della caverna per spiegare la differenza tra il mondo sensibile e quello delle idee. In questa sua metafora, gli uomini sono imprigionati in una caverna e sono costretti a guardare solo le ombre proiettate su una parete, credendo che queste siano la realtà. Solo quando un prigioniero viene liberato e scopre il mondo esterno, si rende conto che ciò che percepiva come reale era solo un'illusione.

Questo racconto platonico può essere visto con gli occhi della modernità per descrivere la situazione in cui ci troviamo oggi, con l'ascesa di mondi virtuali e simili. Molti individui passano ore immergendosi in queste realtà artificiali, trascurando le interazioni sociali reali e l'esperienza del mondo che li circonda. Così facendo, si corre il rischio di vivere in una caverna virtuale, in cui le esperienze digitali e i nostri avatar sostituiscono noi stessi e la realtà, con ciò diventando, di fatto, prigionieri di illusioni.

Autori come Sherry Turkle, nel suo libro “Alone Together”, esaminano come la tecnologia e i mondi virtuali stiano influenzando le nostre relazioni umane e la nostra percezione della realtà. Turkle sostiene che, pur essendo sempre più connessi digitalmente, ci sentiamo sempre più isolati nella vita reale. Ciò dimostra che l'uso eccessivo delle realtà virtuali può portare a conseguenze negative sul benessere emotivo e psicologico delle persone.

Il fenomeno degli Hikikomori, originario del Giappone, è un tipico esempio di come l'isolamento sociale e la dipendenza dalle tecnologie possano avere conseguenze preoccupanti. Gli Hikikomori sono individui, spesso giovani, che si ritirano completamente dalla società, trascorrendo la maggior parte del loro tempo in casa e interagendo raramente, se non mai, con il mondo esterno. Uno degli elementi che contribuisce a questo fenomeno è l'uso eccessivo di Internet, videogiochi e mondi virtuali come forme di evasione dalla realtà.

In un certo senso, gli Hikikomori possono essere visti come una manifestazione estrema delle preoccupazioni sollevate dalla distopia della realtà virtuale. Essi rappresentano un esempio di come l'immersione in mondi virtuali possa portare a un'alienazione dalla realtà e a un progressivo distacco dalle relazioni sociali reali. Sebbene il fenomeno Hikikomori sia particolarmente diffuso in Giappone, è importante riconoscere che anche altre società possono essere influenzate da simili dinamiche, soprattutto considerando la crescente diffusione e popolarità dei mondi virtuali.

È quindi fondamentale considerare gli effetti che questi “ambienti” possono avere sulla salute mentale e sul benessere sociale degli individui. Le istituzioni, gli educatori e le famiglie devono essere consapevoli dei rischi associati all'uso eccessivo della realtà virtuale e lavorare insieme per promuovere un equilibrio tra vita online e offline. In questo modo, si potranno prevenire situazioni estreme come il fenomeno degli Hikikomori e garantire che le nuove tecnologie siano utilizzate in modo responsabile e sostenibile.

In Italia, il fenomeno degli Hikikomori ha iniziato a ricevere maggiore attenzione negli ultimi anni. Sebbene non ci siano ancora dati definitivi, alcuni studi e report hanno cercato di stimare l'entità del problema. Un articolo del 2019 pubblicato sulla rivista “Epidemiology and Psychiatric Sciences” suggerisce che circa lo 0,38% della popolazione italiana tra i 15 e i 39 anni potrebbe essere considerata Hikikomori, corrispondente a circa 25.000 giovani.

Uno studio più recente, del 2023, condotto dall'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Ifc) ha stabilito come adesso siano più di 50.000 gli adolescenti nel nostro Paese che vivono esclusivamente fra le quattro mura della propria camera, comunicando quasi esclusivamente su Internet. L'età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di questo ritiro dalla società è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media. C'è chi non è uscito per un tempo che va da 1 a 6 mesi (l'8,2%), fino alle situazioni più gravi, con oltre 6 mesi di chiusura (fonte: Wired Italia, studio coordinato dalla dottoressa Sabrina Molinaro, dirigente di ricerca del Cnr-Ifc).

Va notato che questi dati sono basati su stime e possono variare a seconda dei criteri utilizzati per definire gli Hikikomori e delle fonti consultate. Tuttavia, questi numeri indicano che il fenomeno degli Hikikomori esiste anche in Italia e che la società deve affrontare questo problema per prevenire ulteriori conseguenze negative sulla salute mentale e il benessere sociale dei giovani.

Allo stesso tempo, è importante considerare anche il controllo esercitato dalle grandi aziende tecnologiche su queste piattaforme. Chi decide quali esperienze debbano essere rese disponibili e come debbano essere presentate? Chi limita la nostra libertà di espressione e di esperienza? Appare evidente che questi mondi virtuali possono essere utilizzati per manipolare le nostre percezioni e i nostri comportamenti, alimentando consumismo e dipendenza.

Le aziende tecnologiche che gestiscono queste piattaforme hanno il potere di decidere quali contenuti e esperienze siano accessibili agli utenti. Ciò può portare a una forma di censura, sia intenzionale che accidentale, in cui alcune voci e opinioni vengono privilegiate rispetto ad altre. Inoltre, le decisioni prese da queste aziende spesso rispondono a interessi commerciali, piuttosto che a principi etici o democratici, il che può ulteriormente limitare la diversità di contenuti e idee presenti nelle realtà virtuali.

Un altro aspetto preoccupante riguarda la raccolta e l'utilizzo dei dati personali degli utenti. Le grandi aziende tecnologiche sono note per raccogliere grandi quantità di dati sugli utenti, spesso senza il loro pieno consenso o comprensione. Queste informazioni possono essere utilizzate per creare profili dettagliati degli utenti e per manipolare le loro esperienze online, ad esempio attraverso la personalizzazione dei contenuti e delle pubblicità. In questo modo, le aziende possono influenzare sottilmente i comportamenti e le scelte degli utenti, promuovendo il consumismo e aumentando la dipendenza dalle piattaforme virtuali.

Inoltre, la dipendenza dalle piattaforme virtuali può creare una spirale in cui gli utenti si sentono sempre più disconnessi dal mondo reale e ricercano ancora di più il conforto delle esperienze digitali. Questo può portare a una riduzione del pensiero critico e a una crescente suscettibilità alle influenze delle grandi aziende tecnologiche, che possono approfittare di queste vulnerabilità per promuovere i loro interessi.

Per contrastare questi problemi, innanzitutto è fondamentale promuovere la trasparenza, la responsabilità e la concorrenza nel settore tecnologico. Questo può includere l'adozione di regolamentazioni più rigorose sulla raccolta e l'utilizzo dei dati personali, il sostegno a piattaforme alternative che promuovono la diversità e la libertà di espressione, e l'educazione degli utenti sulle potenziali insidie delle realtà virtuali e sui modi per utilizzarle in modo responsabile e consapevole.

Infine, un patto regolativo tra gli Stati rappresenta un'opzione importante per affrontare i problemi legati al controllo delle grandi aziende tecnologiche e al crescente impatto dei mondi virtuali sulla società. Un approccio multilaterale e cooperativo tra i governi è cruciale per stabilire regole e norme comuni che garantiscano un ambiente digitale più equo, sicuro e trasparente per tutti gli utenti.

Un patto regolativo tra gli Stati potrebbe concentrarsi su diversi aspetti chiave.

 

  • Protezione dei dati e della privacy. Gli Stati possono collaborare per stabilire standard elevati sulla raccolta, l'uso e la condivisione dei dati personali. Ciò potrebbe includere l'armonizzazione delle leggi sulla protezione dei dati e il rafforzamento delle sanzioni per le violazioni della privacy.
  • Antitrust e concorrenza. I governi possono lavorare insieme per affrontare le pratiche monopolistiche delle grandi aziende tecnologiche e promuovere la concorrenza nel settore. Ciò può includere l'adozione di regole comuni sulla fusione e l'acquisizione di società, nonché misure per sostenere lo sviluppo di piattaforme e servizi alternativi.
  • Contenuti e libertà di espressione. Un patto regolativo potrebbe anche stabilire principi comuni sulla moderazione dei contenuti e sulla promozione della libertà di espressione online. Ciò potrebbe comportare la creazione di linee guida per la trasparenza e l'imparzialità nella gestione dei contenuti da parte delle piattaforme, nonché misure per contrastare la disinformazione e l'estremismo online.
  • Educazione e consapevolezza digitale. Gli Stati possono collaborare per sviluppare programmi educativi e campagne di sensibilizzazione sulle questioni legate all'uso responsabile della tecnologia e alla protezione della privacy online. Questo può aiutare a promuovere un'alfabetizzazione digitale più ampia e a incoraggiare gli utenti a prendere decisioni informate sulle loro attività online.
  • Ricerca e innovazione. Un patto regolativo tra gli Stati può anche prevedere la promozione di una ricerca congiunta e lo sviluppo di tecnologie che rispettino i valori democratici e i diritti umani. Ciò può includere il sostegno a progetti che mirano a migliorare la trasparenza, l'etica e la sostenibilità delle piattaforme digitali.

In breve, solo attraverso la cooperazione internazionale e l'adozione di regole e norme comuni sarà possibile creare un ambiente digitale più equilibrato e sostenibile che protegga i diritti e il benessere degli utenti in tutto il mondo.

 

 

*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche della Comunicazione con perfezionamento post-laurea in Tecnologie per l’Insegnamento e Master in Comunicazione digitale

 

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