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Disastro mediorientale, conosciuto poco e male

Rosita Di Peri: Al Qaeda e Isis, non sono fenomeni improvvisi ma processi complessi e di lunga durata spesso frutto di politiche errate dell'Occidente

di Francesco Pungitore

 

“Dell'Isis oggi conosciamo solo ciò che l’Isis vuole farci vedere”. E' un significativo stralcio dell'analisi formulata dalla professoressa Rosita Di Peri (nella foto), docente di “Politiche, Istituzioni e Culture del Medio Oriente” presso l'Università di Torino. A lei abbiamo chiesto di chiarirci il complesso scenario mediorientale, dopo la tragica escalation di attentati sul suolo europeo da parte di fondamentalisti legati al nascente Stato Islamico. 

 

Il terrorismo che arriva nel cuore dell’Europa ripropone con tragica enfasi la cosiddetta questione mediorientale. L'inquietante novità di questi ultimi anni è il Califfato, lo Stato Islamico. Di cosa si tratta, in effetti?
Il Medio Oriente è al centro della politica internazionale fin dalla disgregazione dell’Impero Ottomano dopo la fine del primo conflitto mondiale. Non soltanto, ovviamente, per l’annosa questione israelo-palestinese ma, soprattutto, per il ruolo centrale svolto dalla presenza di importanti risorse energetiche in questa area del mondo. Se, durante gli anni ’70 del secolo appena passato il Medio Oriente è stato terreno di scontro della guerra fredda, dopo la fine dell’equilibrio bipolare, in questa regione sono emersi nuovi attori in qualche modo generati dagli eventi degli anni precedenti. La guerra dei sei giorni del 1967, in particolare, la morte di Nasser avvenuta nel 1970, lasciarono un vuoto politico e ideologico che fu colmato dall’Islam radicale che si sviluppò e consolidò sotto varie forme negli anni successivi anche grazie all’Occidente che addestrò e foraggiò gruppi armati di diversa provenienza. Si tratta, ovviamente, di processi storici e politici che andrebbero analizzati e spiegati nel dettaglio ma è senza dubbio possibile affermare che quello che è accaduto prima con Al Qaeda e adesso con l’Isis non sia un fenomeno improvviso ma è frutto di processi complessi e di lunga durata in cui le responsabilità del mondo occidentale sono evidenti. Per quanto riguarda il cosiddetto “Stato Islamico”, la verità è che non abbiamo molte informazioni. Ad oggi si possono contare sulle dita di una mano gli studiosi che stanno conducendo ricerche sul campo per comprendere, ad esempio, quali sono le caratteristiche di governo dei territori occupati dall’Isis. Quello che conosciamo è ciò che l’Isis vuole farci vedere. Sappiamo che si tratta di una rete terroristica ben organizzata e transnazionale composta da molti giovani, anche occidentali (i cosiddetti foreign fighters) che hanno deciso di andare a combattere in Siria. Fino agli attacchi di Parigi sapevamo che l’Isis aveva come obiettivo il consolidamento delle proprie conquiste territoriali e non l’attacco diretto in altri territori. Con gli attacchi di Parigi sembra che la strategia dell’Isis stia mutando ma non sappiamo con certezza se lo sia davvero o se, nonostante l’Isis abbia rivendicato gli attentati, quelle che hanno condotto gli attacchi siano cellule che hanno agito in maniera autonoma. Non credo nelle capacità predittive di analisti e think tank ma di certo possiamo dire che gli obiettivi e le priorità dell’Isis possano essere cambiati.

 

Di mondo musulmano, di questione palestinese, di fondamentalismo islamico i mass media parlano continuamente, ma che cosa realmente si conosce della travagliata situazione del Medio Oriente che vada al di là di una superficiale informazione?
Purtroppo si conosce molto poco. Il mondo dell’informazione in Italia non è attrezzato. Vengono proposte analisi superficiali e scandalistiche che alimentano un clima di sospetto innescando, spesso, situazioni di xenofobia e razzismo. C’è una scarsa preparazione dei giornalisti anche se nuove generazioni più preparate stanno cercando di emergere e a volte riescono anche ad arrivare all’attenzione dei media più ascoltati. La stragrande maggioranza dell’informazione italiana, tuttavia, è inefficace e basterebbe, per capirlo, confrontare quello che scrivono i nostri giornalisti con quello che veicolano altri media in altri paesi europei. 

 

Quali le cause storiche dell'instabilità del Medio Oriente?
Questa, come si suol dire è la classica domanda da un milione di dollari. Qualsiasi risposta risulterebbe banale a meno di non scrivere un saggio di centinaia di pagine. Come ho detto prima una delle questioni più rilevanti è certamente legata al controllo delle risorse. Un altro elemento non secondario è la posizione strategica del Medio Oriente, una regione al crocevia di interessi molteplici e dove si stabiliscono gli equilibri di potenza anche del mondo occidentale. In terzo luogo la situazione di precarietà economica in cui versano molti paesi della regione unita al vuoto di potere politico e di incertezza che è seguito alle rivolte del 2011. Non bisogna dimenticare che le rivolte hanno avuto tra le concause scatenanti le difficoltà economiche che hanno spinto tunisini, egiziani, libici e altri popoli della regione a rivoltarsi contro regimi di lunga data per migliorare le proprie condizioni di vita. I regimi autoritari avevano schiacciato la popolazione impedendo qualsiasi tipo di reazione. Con la caduta dei regimi e l’avvio di processi di transizione verso forme non autoritarie, la situazione è diventata più fluida e per certi versi meno controllabile, nel bene e nel male. Senza dubbio i regimi autoritari avevano anche contribuito, per certi versi, a frenare le spinte radicali in seno all’Islam che, dopo la loro caduta, si sono fatte strada con meno difficoltà. Ribadisco che in questo la posizione dell’Occidente è stata ed è cruciale, non possiamo pensare che quello che sta accadendo sulla sponda sud del Mediterraneo non sia frutto di politiche e di scelte errate o che questioni rilevanti, come anche quella dell’immane flusso di profughi, siano qualcosa che non ci riguardi.

 

Quali le possibili soluzioni all'orizzonte, tra venti di guerra e spiragli di diplomazia?
Come dicevo prima non sono un’analista di geopolitica ma una studiosa. Non preparo scenari e non ho la sfera di cristallo. È senza dubbio una situazione delicata e complessa. Francamente credo che, fino agli attentati di Parigi in qualche modo l’Europa abbia sottovalutato l’Isis, forse pensando che l’attenzione fosse concentrato in Siria e Iraq. Gli attentati sembrano mostrare che, purtroppo, le cose stanno cambiando. [pubblicato il 24.11.2015]

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