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L'utopia del popolo sovrano: lettura politica in chiave filosofica

Dal sogno di Rousseau e Marx al tagliente realismo di Arendt e Weil

di Francesco Pungitore

 
Quanta filosofia c'è nella nostra politica contemporanea? Tantissima. Qualcuno, ad esempio, ricorda ancora perché il MoVimento 5 Stelle abbia voluto battezzare con il nome del filosofo Jean-Jacques Rousseau la sua nota piattaforma informatica? Non una sigla qualunque, ma un riferimento ideologico e filosofico ben preciso. L'illuminista francese, infatti, contestava ai suoi colleghi del XVIII secolo la necessità di separare il popolo dal governo dello Stato, attraverso il filtro dei corpi intermedi. La sua utopia era, invece, quella di un popolo realmente sovrano, capace di autogovernarsi responsabilmente, da sé. E questo immaginarono, alle soglie del XXI secolo, anche Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, ispirandosi proprio a Rousseau nel dare vita al M5S. Un progetto che, rispetto alle scarse dotazioni del 1.700, avrebbe potuto contare sulla potenza di fuoco delle nuove tecnologie: un clic sul Web, e la democrazia diretta è servita. Niente corpi intermedi significa, soprattutto, niente Parlamento e niente deputati e senatori, considerati, a torto o a ragione, scialacquatori inutili di denaro pubblico. Ma che fine ha fatto quel “sogno” rivoluzionario? Se fossero ancora vive, la tedesca Hannah Arendt e la francese Simone Weil analizzerebbero la vicenda con amara ironia. Alla fine, esattamente come spiegavano le due grandi filosofe del Novecento, qualunque rivoluzionario diventa un bravo conservatore una volta conquistato il potere. E dimentica le sue battaglie ideali. E' un po' la sindrome della dittatura del proletariato che, da fase transitoria in vista della piena realizzazione della libertà per tutti, nei regimi comunisti si è tramutata in una condizione permanente di dominio totalitario da parte dei burocrati di partito. Da Rousseau siamo passati non a Carlo Marx ma al marxismo come si è inverato concretamente nella storia. Tanti “portavoce” grillini di oggi vengono accusati di essere i perfetti interpreti di una parabola molto simile, epigoni degli “insorti” descritti da George Orwell nel suo dipingere lo stalinismo in forma romanzata, nella famosa fattoria degli animali. Una volta scalata la vetta dei palazzi romani, anche tanti pentastellati pare si siano comodamente seduti nel loro nuovo ruolo di “casta”. La base del MoVimento, peraltro, non ha più la voce tonante d'un tempo, essendo stata, progressivamente, messa all'angolo. Il tutto con un parallelo consolidamento di figure verticistiche (non più orizzontali come quelle che pensava Rousseau) quali il “capo” politico, i direttorii, i gruppi ristretti. Uno scenario condito da situazioni di varia umanità, tipiche dei parvenu: amore per i raggiunti privilegi e fughe verso altri partiti, a caccia di immunità e benefit maggiori. Tutte cose che Hannah Arendt e Simone Weil avevano già visto e raccontato nei primi anni del '900. Probabilmente è davvero una “utopia”, cioè è un non-luogo, l'obiettivo rousseauiano (e poi di Marx) di una società senza governanti e governati. Come ci insegnano acutamente Arendt e Weil, qualunque sia il sistema politico, ci saranno sempre meccanismi di oppressione e potere, azionati dalle oligarchie di turno. Ma l'anelito di libertà è pur sempre ciò che ci rende pienamente umani, direbbe un altro filosofo francese del calibro di Jean-Paul Sartre. Quindi, per arrivare ai nostri giorni, ha ragione pure l'ex deputato “5 Stelle” Alessandro Di Battista quando, reduce dai suoi lunghi viaggi all'estero, riaprendo gli occhi sulla situazione italiana scopre l'improvvisa nudità del “suo” MoVimento, alla guida di un Paese che ha moltiplicato i corpi intermedi, anziché eliminarli (vedi il proliferare di task-force ed esperti); sostenitore di un premier che riesuma, ancora dal XVIII secolo, gli “Stati generali”, con una terminologia già cara al monarca Luigi XVI, ghigliottinato proprio dai rivoluzionari illuministi che leggevano i libri di Rousseau. Che spazi ci sono per la fronda del ritorno al popolo-sovrano, alimentata dal “Dibba” redivivo? A chiuderla in filosofia, molto pochi. Almeno, se vale la teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici. Citare Lev Trockij o Maximilien de Robespierre forse è un po' troppo. Ma qualcosa ci potrebbero dire anche loro, per capire meglio l'Italia di oggi. [16 giugno 2020]
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