di Francesco Pungitore
Qualche anno fa, andava molto di moda il termine “glocal”. Traducendo nel linguaggio di uso comune, si intendeva esprimere l'idea che fosse necessario operare fattivamente per la tutela e la valorizzazione delle identità locali, pur se all'interno dell'orizzonte più complessivo della globalizzazione. In pratica, veniva considerato un valore assoluto l'impegno per promuovere le eccellenze, le tipicità, la qualità delle produzioni legate ai territori, nella convinzione che, tutto ciò, avrebbe portato ricchezza e sviluppo. Oggi non sembra essere più così. Quella ispirazione appare come appassita. Assistiamo ad una decisa inversione di rotta da parte della politica (nazionale, regionale) che, sempre di più, apre le porte alle multinazionali e alle (presunte) super-piattaforme della logistica, forse nella speranza di assicurarsi qualche centinaio di posti di lavoro tra magazzinieri, autisti, centralinisti.
Nulla da ridire nei confronti delle citate categorie professionali, se non fosse che, sull'altro piatto della bilancia, bisognerebbe, almeno, considerare le dirette conseguenze sulla desertificazione delle economie regionali e le gravi ripercussioni sui livelli occupazionali delle piccole e medie imprese. Insomma, oggi ci si concede “allegramente” ai colossi del commercio on-line, ma occorre essere consapevoli che, tutto ciò, significa solo lustrarsi gli occhi con qualche bel titolo in prima pagina, con l'effetto concreto e drammatico, invece, di perdere pezzi importanti del tessuto produttivo nazionale, ovvero di ciò che rende questo Paese, l'Italia, unico, nella sua specificità. [06.10.2022]