di Francesco Pungitore*
Un recente articolo che trovate QUI proietta un quadro piuttosto cupo sull'impatto dell'Intelligenza Artificiale (IA) in Italia. Secondo questi dati, l'IA potrebbe portare alla perdita di numerosi posti di lavoro nel nostro Paese, addirittura 8 milioni. Tuttavia, è fondamentale interrogarsi su queste proiezioni. Sono le uniche plausibili, o altre fonti dicono tutt’altra cosa?
Una prospettiva alternativa
Leggendo AGENDA DIGITALE, la narrativa pessimistica di cui sopra viene totalmente ribaltata. Secondo questo secondo pezzo, infatti, l'IA avrebbe il potenziale per integrare e aumentare, piuttosto che sostituire, le capacità umane. In effetti, i dati dell'OCSE del gennaio 2021 suggeriscono che l'introduzione dell'IA nelle aziende finora ha creato più posti di lavoro di quelli che ha fatto perdere. Questo articolo sottolinea, dunque, che la vera sfida per il futuro è la formazione e l'acquisizione di nuove competenze, piuttosto che la perdita di posti di lavoro.
Il problema delle competenze
Se l'IA è destinata o meno a creare nuovi posti di lavoro, la questione delle competenze diventa comunque cruciale. Ma le nostre scuole e gli enti di formazione sono pronti per questa sfida? Uno degli ostacoli più significativi all'integrazione della tecnologia nelle scuole italiane, ad esempio, è la tradizionale resistenza da parte del corpo docente. Spesso, questa ritrosia è alimentata da una mancanza di formazione adeguata e da una visione classica dell'educazione, appiattita sulle lezioni frontali. In un mondo in rapida evoluzione, dove l'IA e altre tecnologie avanzate stanno diventando sempre più pervasivi, questa resistenza culturale può avere conseguenze gravi, limitando la preparazione degli studenti per il mondo del lavoro del futuro. Peraltro, le scuole italiane, soprattutto quelle in aree meno sviluppate, affrontano spesso carenze strutturali che rendono difficile l'adozione di nuove tecnologie. Dall'accesso limitato a Internet ad aule e laboratori obsoleti, queste carenze rappresentano un ostacolo tangibile all'integrazione della tecnologia nella didattica. Per superare questi ostacoli, sono necessari investimenti significativi. Non solo in termini di hardware e software, ma anche nella formazione dei docenti e nella ricerca di metodi didattici innovativi. Questi investimenti devono essere parte di un progetto di medio e lungo termine, che vada oltre le soluzioni emergenziali e le iniziative isolate. In un contesto in cui l'IA è vista come uno strumento di progresso umano, è fondamentale che la formazione non sia lasciata indietro. L'educazione è la chiave per garantire che il cambiamento tecnologico sia equo e inclusivo. In questo senso, l'etica del progresso richiede un impegno serio verso l'istruzione, considerata non come un costo, ma come un investimento nel futuro. La sfida dell'integrazione della tecnologia e dell'IA nelle scuole italiane è una questione che va oltre la semplice modernizzazione degli strumenti didattici. Si tratta di una trasformazione culturale e strutturale che richiede una visione, un impegno e una strategia a lungo termine. Solo attraverso investimenti mirati e una formazione adeguata del corpo docente, l'Italia potrà preparare le nuove generazioni alle opportunità e alle sfide di un mondo sempre più guidato dalla tecnologia.
L'etica del progresso
In una prospettiva filosofica, l'IA può essere vista come uno strumento di progresso umano, purché guidata da principi etici. La democratizzazione dell'accesso alle competenze in IA è fondamentale per garantire che del progresso tecnologico beneficino tutti, non solo una élite.
Contrariamente alle proiezioni spesso allarmistiche, l'IA ha il potenziale per essere un motore di crescita occupazionale. Tuttavia, è fondamentale che le istituzioni educative e le aziende si adattino rapidamente ai cambiamenti, investendo nella formazione e nello sviluppo delle competenze necessarie per un futuro che è già presente. Nell'attuale panorama lavorativo, caratterizzato da una rapida evoluzione tecnologica, i concetti di “reskilling” (riqualificazione) e “upskilling” (aggiornamento delle competenze) assumono un'importanza cruciale. Questi processi non sono solo responsabilità delle aziende, ma richiedono un intervento attivo del sistema di welfare. Lo Stato, attraverso politiche pubbliche mirate, deve fornire aiuti economici e programmi di formazione per quei lavoratori che rischiano di essere esclusi dal mercato del lavoro a causa del divario digitale o di limitazioni legate all'età. In un contesto in cui l'Intelligenza Artificiale potrebbe creare nuove opportunità ma anche nuove disuguaglianze, il welfare deve agire come un ammortizzatore sociale e un facilitatore di transizione. Questo non solo garantirà una maggiore equità, ma contribuirà anche a una visione etica e umanistica del progresso tecnologico, in cui nessuno verrà lasciato indietro.
*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche della Comunicazione con Perfezionamento post-laurea in Tecnologie per l’Insegnamento e Master in Comunicazione Digitale. Direttore tecnico dell’Osservatorio Nazionale Minori e Intelligenza Artificiale