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La maledetta banalità dei Social

Quando l'ossessione per i “like” diventa idiozia e incubo mortale

di Francesco Pungitore*

 

Roma, purtroppo, ieri (14 giugno 2023) è stata testimone di una tragedia assurda e sconvolgente. Un bambino di cinque anni, in viaggio su una Smart con la madre e la sorellina di tre anni, è morto. Colpevoli? Pare, secondo le prime ricostruzioni, che cinque giovani Youtuber in preda all'ossessione per il successo sui social media stessero guidando a velocità folle una Lamborghini noleggiata. Distratti da smartphone e videocamere per realizzare l'ennesimo video “pazzo” avrebbero impattato frontalmente con la piccola city-car. Sull’asfalto, al momento non è stato rilevato nessun tentativo di frenata.

E io rimango basito, attonito, incredulo. Sia per il tragico epilogo in sé, quanto per il contesto in cui questo è maturato. Perché mentre la nostra società si preoccupa, critica, e teme l'intelligenza artificiale, è l'idiozia umana che dovrebbe realmente terrorizzarci.

È l'idiozia che porta a condividere contenuti degradanti, violenti, malsani sui social media. È l'idiozia che ci fa confondere il successo con l'esposizione al voyeurismo digitale di massa. È l'idiozia che, come ieri a Roma, trasforma la banalità dei social in tragedia.

L'incidente, violentissimo, ha coinvolto un SUV Lamborghini. A bordo, a quanto pare, cinque influencer di 20 anni, tra i quali una ragazza, immersi nel delirio di una challenge: sfrecciare oltre i 100 chilometri orari per il maggior tempo possibile, il tutto ripreso con i cellulari per essere condiviso su YouTube. L'obiettivo sarebbe stato quello di mostrare le loro “abilità”, attirare più follower possibili, strappare like. Invece, hanno strappato una vita innocente.

Il fondatore del gruppo, conosciuto come TheBorderline, ha fatto della demenza il suo marchio di fabbrica, condividendo “i video più assurdi di YouTube Italia”. Con oltre 600mila iscritti e decine di milioni di visualizzazioni, sembra aver capito la formula per attrarre un pubblico di giovani, trasformando azioni banali e pericolose in un macabro intrattenimento.

La zia del piccolo Manuel, in lacrime, ha urlato davanti all'ospedale Sant'Eugenio di Roma: “Mio nipote è morto per una bravata, è una pazzia”. Una pazzia alimentata e potenziata dai social media e dall’idiozia di chi mette il proprio “like” su questi contenuti.

Questi giovani non sono i soli. Ricordiamo il tragico destino di un ventiquattrenne di New York che, alla fine del 2015, è precipitato da un palazzo di 52 piani dove era salito per realizzare scatti estremi. O il diciassettenne russo Andrey R, precipitato per 9 piani dopo aver perso l'equilibrio. Tutte giovani vite spezzate nell'assurdo tentativo di rincorrere la celebrità sui social.

Sono le “sfide” dei social media, e a me sembra che offendano soprattutto la nostra intelligenza, il nostro senso di decenza, la nostra umanità. Sfide che non hanno niente di eroico, niente di ammirevole. Sono semplicemente l'espressione di un vuoto culturale e morale che sta diventando sempre più pervasivo nella nostra società.

Perché, lasciatemelo dire, la “sfida” di restare 50 ore in una Lamborghini, o di saltare sulle auto in corsa, o di realizzare selfie estremi, non è coraggio. È una negazione della vita, una negazione del rispetto per sé stessi e per gli altri. È l'incarnazione della maledetta banalità dei social che, nella sua ricerca ossessiva di visibilità e approvazione, si trasforma in una macchina spietata di distruzione.

L'intelligenza umana, quella che ha creato opere d'arte straordinarie, che ha spinto l'umanità a esplorare lo spazio, a scoprire cure per malattie che una volta erano considerate fatali, è in pericolo di estinzione. Siamo a rischio di essere sopraffatti dalla nostra stessa stupidità, dal nostro bisogno malato di approvazione e di attenzione.

Non possiamo più permetterci di ignorare questa verità scomoda. Dobbiamo affrontare l'aberrazione che è diventato l'uso dei social media e l'ossessione per il “like”, il “follow”, lo “share”. Dobbiamo riconoscere che la tragedia di Roma non è un caso isolato, ma il sintomo di un male più profondo e radicato.

È tempo di fare i conti con la nostra idiozia. È tempo di risvegliare la nostra intelligenza. È tempo di fermare la maledetta banalità dei social, prima che diventi la nostra condanna.

 

*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche di Comunicazione con Perfezionamento post-laurea in Tecnologie per l’Insegnamento e Master in Comunicazione Digitale

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