di Francesco Pungitore*
“Sei veloce a scrivere”, mi dicono spesso. E io rispondo, con un sorriso amaro, “Sì, perché sono vecchio”. Non possono capire. Quando ho iniziato a fare il giornalista, nel 1993, il mondo era un altro. Internet era agli albori, i social media un sogno lontano. Il giornalismo era avventuroso, un campo dove la rapidità e l'accuratezza erano i pilastri su cui si fondava il successo.
Allora, la regola d'oro era una sola: arrivare per primi. In termini di tempo e con contenuti freschi, originali, approfonditi. La competizione tra i quotidiani e i telegiornali era feroce, si misurava in “buchi” inferti agli avversari - quante più notizie avevi rispetto agli altri, tanto più eri in alto nella gerarchia del rispetto e dell'ammirazione.
Ricordo le lunghe ore passate nei corridoi dei tribunali, i chilometri percorsi ogni giorno per raccontare processi e scandali, per raccogliere soffiate sulle ultime inchieste. Le scarpe consumate, le notti insonni passate a scrivere, per poi ricominciare al mattino. Era una corsa adrenalinica, ma una corsa che aveva un senso, che dava valore alla nostra professione.
Mi affezionai profondamente alla mia Olivetti Lettera 32, con cui scrivevo i miei pezzi e con cui ho affrontato l'esame di Stato da giornalista professionista. Era un'epoca in cui il ticchettio delle tastiere meccaniche scandiva il ritmo delle notizie, un flashback che oggi sembra perduto nella digitalizzazione frenetica.
Oggi, il panorama è radicalmente cambiato. Parliamo di articoli generati da intelligenze artificiali, di notizie che spesso non sono altro che copia-incolla di comunicati stampa. Il mondo delle news è in crisi, ed io credo che il motivo sia profondamente radicato nella perdita di quell'autenticità, di quella passione che un tempo animava il giornalismo.
La crisi non è solo economica o di audience, è una crisi di significato. Il concetto stesso di notizia sembra vacillare, annacquato in un mare di informazioni spesso prive di sostanza. Forse è questo il motivo per cui mi dicono che sono veloce a scrivere: perché ricordo un tempo in cui ogni parola aveva un peso, ogni storia una sua dignità.
La velocità non è mai stata solo una questione di tempo, ma di profondità. Di quanto siamo disposti a scavare, a lottare, a sfidare il convenzionale per portare alla luce la verità. Forse è questo che manca oggi: quella lotta, quel sentimento di urgenza, quell'etica del raccontare.
Ogni giorno, nel mio piccolo, cerco di mantenere viva quella fiamma, quell'essenza del giornalismo che mi ha guidato sin dal 1993. Perché nonostante tutto, credo ancora nel potere delle parole, nella forza di una storia ben raccontata. E forse, proprio in questo mondo di notizie artificiali e copia-incolla, è più importante che mai ricordare cosa significhi essere veramente un giornalista.
*giornalista professionista, docente di Filosofia, Storia, Scienze Umane e Tecniche di Comunicazione con Perfezionamento post-laurea in Tecnologie per l’Insegnamento e Master in Comunicazione Digitale. Direttore Tecnico dell’Osservatorio Nazionale Minori e Intelligenza Artificiale