di Francesco Pungitore*
In un'Italia dove la corruzione serpeggia come un male endemico, la voce di Nicola Gratteri risuona come un campanello d'allarme che non possiamo più ignorare. Ho avuto l'onore di intervistare in pubblico il Procuratore a Montauro, durante la terza edizione della manifestazione antimafia “Però parlatene”, un'iniziativa lodevole promossa dall'amministrazione comunale con il prezioso impegno dell'assessore Leo Aiello e del consigliere comunale Antonio Schiavone.
Gratteri, nominato da un anno Procuratore di Napoli, è un uomo che rifugge dalla retorica vuota e dai giri di parole. La sua è una chiarezza tagliente, una franchezza che scuote le coscienze in un Paese troppo spesso assuefatto al malaffare. Il suo messaggio è inequivocabile: per debellare la corruzione servono norme più severe, pene esemplari e, soprattutto, una volontà politica ferrea nell'applicare questi strumenti.
Il Procuratore non si nasconde dietro il velo del politicamente corretto. La sua richiesta di pene più dure per i “colletti bianchi” e i funzionari infedeli è un atto d'accusa contro un sistema che troppo spesso ha protetto i potenti. Gratteri va oltre, denunciando le assurdità legislative che ostacolano il lavoro delle forze dell'ordine. L'esempio delle intercettazioni è emblematico: perché mai una prova di corruzione, scoperta casualmente durante un'indagine su reati di mafia, non dovrebbe essere utilizzabile? È un'incongruenza giuridica che mina alle fondamenta la lotta contro il crimine organizzato e la corruzione.
La domanda che Gratteri pone, implicitamente ma con forza, è: cosa è realmente cambiato dai tempi di Tangentopoli? La risposta è sconfortante: troppo poco. La corruzione continua a essere un cancro che divora le istituzioni, inquina l'economia e corrode il tessuto sociale. Le riforme attuate finora si sono rivelate timide, spesso inefficaci, e le pene comminate ai corrotti non sono sufficientemente severe da fungere da deterrente reale.
In questo panorama desolante, la voce di Gratteri si erge come un richiamo all'azione, un monito a non accontentarsi di mezze misure. La sua è un'esortazione a non arrendersi alla rassegnazione, a non permettere che la corruzione diventi la normalità accettata con un'alzata di spalle. La trasparenza e l'intransigenza di Gratteri sono una lezione per tutti: politici, magistrati e cittadini. Se vogliamo realmente un Paese libero dalla corruzione, dobbiamo avere il coraggio di adottare misure forti e di applicarle senza tentennamenti o eccezioni.
Il male della corruzione non si sconfigge con parole vuote o con riforme di facciata. Richiede determinazione, leggi efficaci e la volontà incrollabile di farle rispettare. Gratteri ce lo ricorda ogni giorno, con le sue parole e con le sue azioni. E noi, come società civile, abbiamo il dovere di non dimenticarlo, di sostenere questa battaglia e di pretendere un cambiamento reale.
La lotta alla corruzione non è solo una questione giuridica, ma un imperativo morale. È la sfida del nostro tempo, una sfida che richiede il coinvolgimento di ogni cittadino. Le parole di Gratteri devono essere un catalizzatore per un movimento più ampio, che parta dalle scuole, attraversi le istituzioni e raggiunga ogni angolo del Paese.
Solo così, con un impegno collettivo e incessante, potremo sperare di costruire un'Italia più giusta, più trasparente, libera finalmente dal giogo della corruzione. Le parole di Gratteri sono un faro in questa lotta. Sta a noi raccogliere il suo appello e trasformarlo in azione concreta.
*giornalista