di Francesco Pungitore*
Nel dialogo platonico Fedro, il filosofo ateniese articola attraverso il mito di Theuth una critica che risuona con sorprendente attualità nel dibattito contemporaneo sull'intelligenza artificiale. La preoccupazione espressa dal re Thamus nei confronti dell'invenzione della scrittura – “questo ritrovato procurerà smemoria nelle anime di coloro che lo impareranno” - presenta analogie strutturali con le attuali ansie riguardo l'impatto dell'IA sulle capacità cognitive umane.
L'argomentazione platonica si fonda su una distinzione epistemologica fondamentale tra anamnesis (reminiscenza) e hypomnema (promemoria). Platone temeva che l'esternalizzazione della memoria attraverso la scrittura avrebbe compromesso la capacità intrinseca di anamnesis - il processo dialettico attraverso cui l'anima accede alla conoscenza autentica. La scrittura, secondo questa prospettiva, offrirebbe solo “un'apparenza di sapienza” (doxa) piuttosto che la vera conoscenza (episteme).
Questa preoccupazione evidenzia una tensione epistemologica ricorrente: l'opposizione tra processi cognitivi interni, considerati autentici, e supporti esterni, percepiti come potenzialmente compromettenti per l'integrità intellettuale.
Le odierne preoccupazioni riguardo l'intelligenza artificiale manifestano una struttura argomentativa analoga. I critici contemporanei esprimono timori che i sistemi di IA possano indurre un'atrofia delle capacità critiche, analitiche e creative umane. Come Platone temeva che la scrittura rendesse gli individui “smemorati”, così oggi si paventa che l'automazione cognitiva possa compromettere competenze fondamentali quali il problem-solving, l'analisi critica e la creatività originale.
Questo parallelismo rivela una costante antropologica: ogni innovazione tecnologica che estende le capacità cognitive umane genera ansie riguardo una potenziale diminuzione delle competenze innate.
Cosa ci insegna la storia
L'evidenza storica dimostra tuttavia la capacità adattiva e resiliente del sistema cognitivo umano. L'adozione della scrittura, lungi dal compromettere le facoltà intellettuali, ha catalizzato sviluppi cognitivi senza precedenti: l'emergere del pensiero astratto complesso, lo sviluppo di sistemi filosofici articolati, la nascita del metodo scientifico.
La scrittura ha infatti liberato risorse cognitive precedentemente dedicate alla memorizzazione meccanica, permettendo loro di essere ridistribuite verso processi di ordine superiore: l'analisi critica, la sintesi concettuale, l'elaborazione di modelli teorici complessi.
Analogamente, la rivoluzione digitale, inizialmente percepita come minacciosa per le capacità mnemoniche e attentive, ha generato nuove forme di literacy digitale e competenze metacognitive. L'intelligenza umana ha dimostrato una notevole plasticità, adattandosi e coevolvendo con gli strumenti tecnologici disponibili.
Tuttavia, sarebbe riduttivo liquidare le preoccupazioni contemporanee come meri echi di ansie arcaiche. L'intelligenza artificiale presenta sfide qualitativamente diverse e più complesse rispetto alle precedenti innovazioni tecnologiche.
La principale criticità risiede nell'opacità algoritmica. Mentre la scrittura mantiene trasparenza nei suoi meccanismi - il testo rimane decifrabile e analizzabile - molti sistemi di IA operano attraverso processi computazionali non interpretabili nemmeno dai loro sviluppatori. Questa “black box” epistemologica compromette la possibilità di comprensione critica dei processi decisionali automatizzati.
L'IA contemporanea opera a velocità e su scale che superano drasticamente le capacità umane di monitoraggio e controllo. Diversamente dalla scrittura, che richiede tempi di elaborazione compatibili con la riflessione umana, l'IA può generare output a ritmi che impediscono un'adeguata valutazione critica.
I sistemi di IA possono incorporare e amplificare bias presenti nei dati di training, perpetuando e sistematizzando distorsioni cognitive e culturali. Questa caratteristica introduce rischi di cristallizzare i pregiudizi su scala sociale.
L'IA genera forme di dipendenza infrastrutturale complesse. Mentre la scrittura resta accessibile attraverso supporti relativamente semplici, l'IA richiede infrastrutture tecnologiche sofisticate, creando potenziali vulnerabilità sistemiche.
La storia delle relazioni tra umanità e tecnologia suggerisce che il futuro non risiede nell'opposizione manichea tra intelligenza umana e artificiale, ma nella loro coevoluzione sinergica. Come la scrittura ha amplificato anziché sostituire le capacità cognitive umane, l'IA può potenzialmente potenziare piuttosto che rimpiazzare l'intelligenza umana.
Tuttavia, questo processo richiede consapevolezza critica e governance attiva.
Conclusioni
Il parallelismo tra le preoccupazioni platoniche e quelle contemporanee non deve essere interpretato come invito al fatalismo, ma come opportunità per l'apprendimento storico. Come l'umanità ha saputo integrare creativamente la scrittura nei propri processi cognitivi, così può sviluppare modalità di interazione costruttiva con l'intelligenza artificiale.
La sfida non consiste nel resistere all'innovazione tecnologica, ma nel governarla consapevolmente, preservando e potenziando ciò che costituisce il nucleo dell'esperienza umana: la capacità di interrogarsi criticamente, di creare significato, di esercitare giudizio etico.
In questa prospettiva, l'IA non rappresenta necessariamente una minaccia alle capacità cognitive umane, ma piuttosto un'opportunità per loro ridefinizione e potenziamento, purché questo processo sia guidato da saggezza, prudenza e visione progettuale.
*L'autore è docente di Filosofia, Storia, Psicologia, Tecniche di Comunicazione e Scienze Umane, formatore esperto di Intelligenza Artificiale e giornalista professionista