Portate un film sullo schermo della vostra memoria, magari il più bello che abbiate mai visto o quello che ha lasciato in voi i ricordi più forti. Poi provate ad associarlo a una sequenza capace di creare un legame diretto con il cibo: una cena romantica, un pranzo in famiglia, una sbronza epica... Infine, ripetete questo esercizio per oltre quattromila pellicole e trecento documentari! Una vera impresa. Fortunatamente per voi, c'è chi lo ha già fatto: Salvatore Gelsi (nella foto) con il suo “Mangiafilm”, edito da Tre Lune. “Mangiafilm” è un’enciclopedia o, meglio, un dizionario enciclopedico, che va a formare il più ampio ed esaustivo osservatorio dello specifico “visibile”, quando si fonde con l’atto del mangiare e del bere. Oltre settecento voci, dicevamo, quattromila film, venticinque schede-ritratti di registi, generi, attori e, inoltre, assoluta novità, oltre trecento opere (film a soggetto, documentari, cortometraggi) che rimandano alla questione del cibo. Salvatore Gelsi, tra i fondatori e organizzatori del Mantovafilmfest, mette a disposizione del lettore una gustosa e ricca dispensa di citazioni, battute, curiosità, scene, racconti, piatti, vini, ricette, frutto di una ricerca decennale su cinema e pubblicità, televisione e rete, mode e consumi, lungo un filo che si dipana nella storia dell’immagine e dell’immaginario dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. L’autore, che si occupa di sociologia della comunicazione ed è l’iniziatore di un campo di ricerche che collegano il cinema all’alimentazione, riflette su quanto i media siano specchio e schermo delle nostre abitudini e dei nostri desideri, come i piaceri e i bisogni ne siano condizionati nell’atto della rappresentazione, come i nostri sensi ne siano inevitabilmente stimolati.
Il suo ultimo libro, edito da Tre Lune, si chiama “Mangiafilm” e viene presentato come un vero e proprio dizionario sulle pellicole legate al cibo. Com'è nata questa idea?
“Mangiafilm” è il terminale di un percorso nato quindici anni fa, quando cinema e cucina erano due “passioni” distinte e quasi nessuno fino ad allora le aveva accostate con un metodo. Partendo dai
“Cultural studies”, l’uso dei mass-media come processo, documento e materia allo scopo di cogliere sociologicamente mentalità, consumi, tradizioni lo mescolavo al visivo cinematografico, con la
domanda “Siamo quelli che vediamo mangiare sullo schermo?”, oppure, “quel visivo contiene un messaggio che si connette alle forme narratologiche dei generi del cinema”, neppure tanto casualmente come
potrebbe sembrare a prima vista… “Ciak si mangia!” era un catalogo di scene e battute, mentre “Lo schermo in tavola” conteneva uno sguardo teorico sul perché il cibo – tanto presente – non fosse mai
diventato un genere… ma si affermava come moda e costume sociale. Il terzo volume “A tavola con Hitchcock”, era diventato un gioco sulla sovrapposizione tra “una vita da gourmet” e film realizzati.
La ricerca fu condotta in un’unica unità di tempo, anche se i libri uscirono poi nell’arco di tre o quattro anni. Ora “Mangiafilm”, declinandosi come dizionario enciclopedico consegna una massa
enorme di materiali: oltre 700 voci alfabetiche, 25 mini saggi e cronologicamente oltre 300 film (film a soggetto, documentari e cortometraggi), che disposti nel tempo diventano una pellicola
lunga 120 anni, con incursioni nella televisione e nella pubblicità.
Lei cita ben quattromila film dell'intera storia del cinema che rimandano al rapporto con il mangiare e il bere. Posso chiederle, tra tutti, quali esprimono meglio, simbolicamente, questo
legame tra cinema e cibo?
Dei 4000 film citati è la sezione denominata food porn, quella che raccogliendone oltre 300, disposta dal 1895 (da Lumière e Mèlies) al 2015, penso sia in grado di mostrare come in moltissimi modi si
è andato, nel tempo e nello spazio, a definire e connettere questo legame. Credo che il cinema non sia lo strumento adatto a riflettere o a leggere la realtà, ma sa cogliere bene le mode
e le mentalità, naturalmente in modo indiretto, del tempo che scorre insieme al nostro gusto... per la vita.
Ci sono cene famosissime che hanno fatto la storia del cinema...
Ne cito alcune, esemplari. Il sottoproletariato di “Mamma Roma” di P. P. Pasolini che si raduna a tavola secondo la disposizione di un quadro di Veronese, è la dissacrazione del banchetto tardo
rinascimentale. Lo scontro familiare, quando il cibo è solido più dello spirito, in Bergman, Vinterberg e Von Trier, quasi un trauma. La cena al forte nella trilogia della cavalleria di John Ford, la
pausa che precede l’azione decisiva. La sequenza di “Roma” di Federico Fellini, il popolo in piazza e sulla strada, della durata di 21 minuti…
Da "Ciak si mangia!" a "Mangiafilm" cos'è cambiato (se è cambiato qualcosa) nel suo viaggio tra... piatti e pellicole?
E’ cambiata l’attribuzione che diamo al cibo: la ricerca di esotismo, purezza, singolarità, unicità in quello che mettiamo in bocca, insomma non è più un alimento. E’ cambiata la preparazione, lo
chef è diventato un protagonista – nell’ultimo decennio – l’eroe dei nostri tempi, ha perfino surclassato i campioni dello sport nella considerazione sociale, una specie di mago, quando non pretende
di essere uno scienziato… Non c’è più fame, semmai quella è riservata ai documentari o ai cartoni, il cibo significa eccesso, abbondanza, fino a diventare bulimico. Noi siamo bulimici di parole e
immagini quando scegliamo dalla carta dei vini o leggiamo il menù, ma anche quando riempiamo il carrello del supermercato. Si consuma e si ingerisce in fretta, il resto lo buttiamo via, proprio come
facciamo con i film e i programmi televisivi, i tempi sono quelli degli spot pubblicitari di cui non conserviamo quasi mai memoria.
Francesco Pungitore